Cure palliative, servono a 300mila anziani ma solo il 15% riceve le terapie antisofferenza

In Italia sono oltre 300 mila gli anziani che avrebbero bisogno di cure palliative per alleviare la sofferenza legata alle malattie croniche, progressive e inguaribili. Eppure, nonostante la legge sancisca da tempo il diritto a riceverle, solo una piccola parte di chi ne avrebbe necessità può effettivamente beneficiarne. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, anche nel nostro Paese la copertura non supera il 15% del fabbisogno complessivo.
Un dato preoccupante, che fotografa un sistema ancora frammentato e diseguale, con forti differenze tra i diversi territori e una carenza di risorse dedicate. E che rischia di peggiorare ulteriormente con l’invecchiamento della popolazione: entro il 2050, infatti, si prevede un aumento del 35% degli anziani e il numero di persone affette da patologie croniche invalidanti è destinato a crescere in modo esponenziale.

Per rispondere a questa emergenza silenziosa, la Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (Sigg), insieme con le principali società scientifiche e associazioni del settore, ha promosso la prima ampia indagine nazionale sullo stato delle cure palliative nelle residenze sanitarie assistite (Rsa) e reparti ospedalieri.
L’iniziativa, realizzata in occasione della Giornata nazionale delle cure palliative, ha coinvolto 144 Rsa e 207 reparti ospedalieri distribuiti su tutto il territorio nazionale, per un totale di oltre 34.000 pazienti. L’obiettivo: fotografare la situazione attuale, riconoscere i bisogni reali dei pazienti fragili e proporre interventi concreti per migliorare la qualità dell’assistenza.

«Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato che l’introduzione precoce delle cure palliative, già nelle fasi iniziali delle malattie gravi e inguaribili, è associata a miglioramenti significativi nella qualità di vita del paziente e nella sua capacità di affrontare la malattia», spiega Dario Leosco, coordinatore dell’indagine e presidente Sigg. «Si tratta di un approccio globale, che non si limita al controllo del dolore ma integra la gestione dei sintomi fisici con la risposta ai bisogni psicologici, sociali e spirituali, con effetti positivi anche sul benessere dei familiari e dei caregiver».

Le cure palliative, però, non sono tutte uguali: negli ospedali, per esempio, la loro attivazione avviene spesso con ritardo, quando la malattia è ormai in fase avanzata. «I nostri dati mostrano che solo un terzo degli anziani riceve un adeguato monitoraggio dei sintomi e un’assistenza efficace per la gestione della sofferenza», sottolinea Leosco, «spesso per la mancanza di personale specificamente formato».

La situazione nelle Rsa non è diversa: «In molte strutture manca ancora un’équipe dedicata e gli operatori non hanno strumenti adeguati per riconoscere e trattare il dolore nei pazienti fragili», aggiunge Monica Torrisi, dell’Istituto di Geriatria e Ospedalità del Mezzogiorno.

Questo gap di assistenza ha un impatto pesante anche sul sistema sanitario: «Una buona gestione del dolore riduce i ricoveri inappropriati e i costi complessivi delle terapie», ricorda Graziano Onder, co-coordinatore dell’indagine e professore di Medicina delle cure palliative all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «In altre parole, le cure palliative precoci sono un investimento per la salute pubblica e per l’equità di accesso alle cure».

Nel nuovo scenario delineato dalla ricerca, non sono solo gli ospedali e le unità domiciliari a svolgere un ruolo chiave, ma anche le strutture residenziali per anziani e gli ospedali di prossimità: «Una presa in carico continuativa, personalizzata e multidimensionale per i pazienti più vulnerabili, è fondamentale», aggiunge Torrisi. «È essenziale anche una maggiore rete tra percorsi ospedalieri e territoriali».

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